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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

Se senti di avere bisogno di aiuto e di supporto genitoriale, oppure tuo figlio ha bisogno di essere aiutato, contattami al 3404190915 oppure fissa direttamente il tuo appuntamento online dalla mia agenda. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterapia ora affronto la paura. Non sono realmente ancora volato, però spesso mi sono spinto oltre il rinvio e anche oltre la paura”. La paura di volare è uno “spauracchio” anche quando la maggior parte delle volte il volo non è poi così drammatico. Anzi può persino diventare un momento quasi piacevole di adrenalina pura. Ovviamente l’idea di poter volare ci mette in grande difficoltà. La mente si arrovella in pensieri ed emozioni contrastanti. La paura infatti si manifesta proprio con pensieri insistenti, ossessivi, e con sensazioni pesanti di ansia. Consiglio spesso nel mio blog di calarsi in maniera ancora più approfondita dentro questa sensazione di paura. La reazione più logica e più frequente è quella di fuggire dall’ansia, ed invece è proprio calandosi a fondo nelle sue sensazioni che si ottiene un effetto contrario e stranamente rilassante. 

Quando entrare in terapia

Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato molti atleti e appassionati di arrampicata che sperimentano la paura in maniera bloccante. Continuano ad insistere, studiando le vie, provando e riprovando modalità di controllo, sforzandosi emotivamente di mantenere una rigida autodisciplina. Il rischio però è quello di vivere tutta l’esperienza dell’arrampicata come un peso. Non vogliamo mollare, però lo sforzo è eccessivo, sia fisico che mentale. In questi momenti può essere utile chiedere un supporto psicologico che ci aiuti a tornare a vivere con piacere l’esperienza dell’arrampicata . 

Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog oppure contattami al 3404190915 per fissare una consulenza o fissa direttamente un appuntamento dalla mia agenda. 

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Tag: arrampicata, gestione delle emozioni, paura

Quando il gioco diventa dipendenza? Una domanda che oggi diventa ancora più di attualità, soprattutto se riferita al mondo del pallone. I recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce alcuni calciatori legati a scommesse illegali. Fagioli, giovane promettente della Juventus, è il primo della lista, ma non è il solo, anche Zaniolo e Tonali e forse molti altri nomi emergeranno dalle indagini della magistratura. Cosa spinge questi giovani ragazzi ad entrare nel loop del gioco? Nel mio blog spesso ho parlato di ludopatia, cioè di dipendenza da gioco, oggi più che mai il tema va ripreso, trattato e diffuso. Nel mondo della cronaca ci sono dipendenze che “vanno di moda” ed altre che vengono quasi dimenticate; la dipendenza da gioco sembrava essere passata in secondo piano, fino a quando i fatti di cronaca calcistica non l’hanno fatta tornare sotto i riflettori. A dimostrazione che la problematica del gioco c’è sempre stata e continua a creare situazioni di criticità e problematicità.

Quando il gioco diventa dipendenza? I giovani calciatori

Forse qualcuno penserà che nel caso dei giovani calciatori sia stata la voglia di arricchirsi ulteriormente; se però andiamo ad analizzare più a fondo la funzione della dipendenza, credo che le motivazioni siano differenti. C’è innanzitutto la fragilità di ragazzi giovani, che guadagnano cifre insperate e inaspettate e che per questo  perdono il reale valore dei soldi. Il loro diventa un “giocare” non tanto per vincere ma proprio per giocare. Una sorta di circolo vizioso, nel quale si trae piacere dalla trasgressione del gioco, soprattutto in caso di puntate illegali. L’idea sbagliata è quella di immaginare il calciatore come se non fosse umanamente soggetto alle comuni tentazioni. Invece sono anche loro ragazzi, appunto inseriti in un ambiente in cui gira una ricchezza facile, a portata di mano, e quindi in una condizione idealmente privilegiata. Ma come dimostrano i casi di Fagioli, Tonali, Zaniolo e chissà quanti altri, entrare in una dipendenza può succedere veramente a tutti. 

La dipendenza da gioco: il circolo vizioso

Iniziare a scommettere è facilissimo. In pochissimi passaggi online sui vari siti di scommesse è possibile attivare un conto personale e procedere alle puntate. Si trovano online anche molte sale scommesse, nelle quali è sufficiente entrare e piazzare la propria puntata. Il meccanismo della dipendenza è sempre molto semplice. Si inizia a puntare, si perde e si cerca di riconquistare la somma persa. Si innesca così un loop infinito, in cui magari si riesce anche a vincere di tanto in tanto una somma di denaro, che poi inevitabilmente viene rigiocata e persa ciclicamente. 

La dipendenza da gioco: il giocare come trasgressione

In molti casi, come sopra descritto, è soprattutto il meccanismo del giocare per giocare, indipendentemente dalle possibilità di vittoria. E’ la ricerca della trasgressione, l’adrenalina della puntata, una scarica di emozioni che fanno sentire vivi e stimolano una condizione psicofisica di eccitazione. Ovviamente il ripetersi delle giocate e le perdite che si accumulano comportano inevitabilmente una profonda sofferenza emotiva. 

Prevenzione e psicoterapia

Vietare le scommesse potrebbe sembrare la cosa più ovvia. Tuttavia non sarebbe sufficiente a risolvere il problema, anzi andrebbe probabilmente ad incrementare un pericoloso “mercato nero” del gioco illegale. La prevenzione è fondamentale, operando attraverso percorsi indirizzati sia nelle scuole, che all’interno di contesti sociali e culturali. Secondo la mia esperienza clinica credo che la psicoterapia possa veramente essere determinante per il superamento della dipendenza da gioco. Seguo da anni pazienti con problematiche varie di dipendenza – nello specifico anche di dipendenza da gioco – e attraverso percorsi mirati e calzati sulla persona, i risultati risultano veramente efficaci. 

Se vuoi saperne di più rispetto ad un percorso dedicato al superamento di una dipendenza da gioco contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda.  

 

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Tag: calcio scommesse, dipendenza da gioco, ludopatia, Terapia Breve Strategica

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare?” è così che recentemente una mamma ha esordito parlando della condizione scolastica del figlio. Uno degli aspetti da prendere in considerazione in queste situazioni, è la necessità di valutare la situazione in maniera più ampia. Gli aspetti che determinano una scarsa motivazione scolastica sono molteplici, una pluralità di elementi differenti che possono condurre ad un rendimento scolastico incostante o addirittura negativo. In molti frangenti non sono le difficoltà di apprendimento, ma gli aspetti psicologici, emotivi o famigliari a fare la differenza, purtroppo in senso negativo. Nell’articolo di oggi cercheremo di approfondire queste tematiche ponendo il focus su quegli aspetti critici che sia i ragazzi che la famiglia si trovano ad affrontare. 

 

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Cosa provano i ragazzi

Sovente dietro un rendimento scolastico negativo si nascondono delle emozioni forti. Gli adolescenti vivono questo periodo della loro vita con un’intensità emotiva particolare. Una delusione amorosa, un litigio con un compagno, oppure anche una discussione accesa in famiglia possono innescare un momento di crisi. Un ragazzo in terapia racconta del diverbio avuto con la madre. Di punto in bianco quest’ultima ha deciso di non vederlo per un periodo di tempo, i genitori sono separati ed il ragazzo vive con il padre. In un primo momento sembrava non averne risentito più di tanto, ma con il passare dei mesi le cose sono peggiorate, tanto da fargli vivere questa situazione con un peso emotivo devastante. La motivazione scolastica è scesa bruscamente, e così anche quella sportiva e quella sociale nei rapporti  con gli amici. Come genitori dobbiamo essere in grado di riconoscere e valutare attentamente il mondo emotivo dei nostri figli e cercare di aiutarli quando incontrano delle difficoltà.

Mio figlio va male a scuola cosa devo fare? Lo stress scolastico

Lezioni, compiti, interrogazioni sin dalla prima settimana di scuola. Ormai gli ultimi anni post Covid hanno visto una vera e propria accelerata da parte degli insegnanti, per tentare di mettersi in pari con i programmi e concludere l’anno al meglio. Se dal punto di vista dell’apprendimento è utile riuscire a tenere i ragazzi sempre allenati, non si può del tutto trascurare il rischio che alcuni si perdano per strada. Il ruolo della famiglia diventa fondamentale nel sostenere il proprio figlio/a, fornendo un supporto sia pratico che psicologico. Essere presenti nel momento dello studio, magari organizzandolo insieme a loro, oppure verificando se hanno bisogno di aiuto ed in quali materie. In alcuni casi attivando anche delle ripetizioni private. Dal punto di vista mentale è fondamentale mantenere un dialogo con i ragazzi anche quando sembra impossibile trovare argomenti che possano interessarli veramente. 

Quando l’ansia diventa ingestibile.

Una ragazza entra in studio pochi giorni prima dell’inizio della scuola e mi dice: 

Ho già l’ansia e la scuola non è ancora iniziata”

Una paura anticipatoria che può risultare particolarmente disfunzionale. L’ansia è una sensazione che i ragazzi vivono a livelli altissimi e che può comprometterne il rendimento scolastico. Il rischio è anche quello di isolarsi, evitare le situazioni sociali ed il contatto con i coetanei. Nei casi più gravi l’ansia può determinare una crisi tale da indurre al ritiro scolastico. Cosa fare in queste situazioni? Il mio consiglio è quello di stare vicino ai propri figli. Supportarli senza sostituirsi a loro, cercare il dialogo, anche quando sembra impossibile costruire un canale di comunicazione. Spesso i genitori mi chiedono come sia possibile parlare con i figli senza entrare in conflitto. Io rispondo che il contrasto è anche utile, favorisce lo scambio e la crescita, l’importante è che si sviluppi nel giusto ambito cioè non diventi distruttivo. 

Il benessere psicologico dei ragazzi

Abbiamo affrontato diversi elementi che possono portare ad uno scarso rendimento scolastico. L’aspetto però chiave è sicuramente la relazione che costruiamo con i nostri figli, ed il modo in cui siamo presenti e stiamo loro vicini. Il benessere psicologico dei ragazzi è fondamentale, è una sorta di motore che favorisce sia un buon andamento scolastico, sia la loro vita sociale e relazionale in generale. 

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Tag: andamento scolastico, ansia e panico, ansia scolastica, genitori, genitorialità

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Si può smettere da soli? Quanto tempo serve? Tutte queste domande meriterebbero molte riflessioni e altrettanti articoli. Parlare di alcol nella nostra società è complesso. Quasi tutti consumano qualche aperitivo prima di cena, bevono a cena un calice di vino e magari una volta ogni tanto esagerano con gli amici. Può sembrare una routine normale, tuttavia molte persone rischiano di utilizzare l’alcol con una “funzione psicologica”. Non riuscendo a gestire aspetti emotivi, momenti stressanti oppure semplicemente per trovare un po’ di serenità consumano qualche drink. Quando questa abitudine si inserisce nella nostra quotidianità e la pervade, allora  rischia di diventare un problema. Affrontiamo nell’articolo di oggi alcune situazioni in cui la voglia di cambiare ha spinto ad uscire dalla dipendenza.

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? L’abitudine quotidiana

“Rientravo a casa ogni giorno, stressato, pieno di pensieri, l’unica cosa che mi faceva stare bene era bere qualche birra”. 

La situazione di questo paziente è assai diffusa. Lo stress quotidiano della giornata spinge molte persone a fermarsi al bar dopo il lavoro e a bersi un paio di aperitivi o a consumare alcol non appena rientrati a casa. E’ la ricerca di un momento distensivo, perchè l’alcol ha sicuramente questo potere di rallentare i pensieri e farci sentire più leggeri. Il problema è che con facilità si diventa “pigri” nel gestire i pensieri della giornata e si delega all’alcol la funzione di “staccare la spina” e di creare un momentaneo quanto effimero senso di tranquillità. Il rischio è che, una volta instauratosi questa abitudine di bere dopo il lavoro si continui a mantenerla nel tempo. Nel caso sopracitato la persona in questione ha continuato a consumare alcol ogni giorno in misura superiore alla media, iniziando ad avvertire una sensazione di dipendenza. Ad un certo punto però ha preso atto della propria situazione e ha consapevolmente intuito il rischio e la necessità di cambiare abitudini. La consapevolezza e la voglia di cambiare hanno spinto nella direzione del percorso terapeutico e dell’astinenza. 

 

Come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcool? Le polidipendenze

“Iniziavo a bere davanti al computer e passavo ore a fare trading online o giocando a poker on line”. 

Questa è un’abitudine molto diffusa: iniziare a bere ed associare altre forme di dipendenza. Al bar, ad esempio, l’alcol può essere associato alla ludopatia. Si giocano molti soldi alle “slot machines” ormai presenti in tutti i locali, e nel frattempo si consumano un paio di birre o di liquori. Bere alcolici e al contempo fare trading online o giocare al videopoker può portare a spendere moltissimi soldi. Si passano ore davanti al computer, magari consumando superalcolici lisci e si finisce per spendere grandi quantità di denaro, quasi sempre perdendo. I soldi che in rare occasioni si vincono vengono reinvestiti in trading, e dunque vanno persi.  Oppure una volta che ci si sente più leggeri arriva il desiderio di consumare cocaina. In tantissimi casi l’alcol è proprio un apripista che facilità il consumo di un’eccitante come la cocaina. Un mix molto pericoloso che si autoalimenta fino a sfociare in una spirale di dipendenza.

Il paziente che racconta appunto di questo mix fra alcol e trading ha iniziato un percorso di cambiamento partendo con un approccio clinico e poi consolidando i risultati presso il mio studio. Certo iniziare il percorso di cambiamento non è una scelta facile perchè richiede prima di tutto la presa di coscienza del problema, ma è assolutamente fondamentale per ritrovare il proprio equilibrio psicologico. 

Uscire dalla dipendenza dell’alcol con una forte motivazione

Nelle due situazioni che abbiamo descritto l’alcol facilità lo sviluppo di ulteriori dipendenze e diventa una routine quotidiana. Logora lentamente, gli effetti disfunzionali emergono solo nel tempo.La dipendenza diventa qualcosa di talmente radicato nella persona, tanto da non riuscire più ad immaginarsi senza alcol. Per di più in una società che ne pubblicizza e facilità in ogni modo il consumo. E quindi come fare per uscire dalla dipendenza dell’alcol? La risposta sta in ognuno di noi, nella nostra motivazione, nella nostra forza di volontà che ci deve spingere come un vero motore verso il cambiamento. Questo è il primo step per uscire dalla dipendenza da alcol. Ovviamente essere aiutati da professionisti esperti facilita il percorso verso il cambiamento. Le alternative possono prevedere una fase di ricovero in clinica, quando strettamente necessario, e/o un percorso dedicato di terapia presso uno psicologo oppure anche la partecipazione a gruppi terapeutici. 

Se senti di avere una dipendenza da alcol e non sai come fare per uscirne contattami al 3404190915 insieme possiamo iniziare un percorso di disintossicazione fisica e mentale.

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Tag: alcolismo, dipendenza da alcol, disintossicazione, polidipendenze

La Giornata Mondiale della Salute Mentale come ogni anno sarà celebrata il 10 ottobre. E’ una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche legate alla salute e al benessere psicologico. Personalmente ritengo che sia un momento molto importante, sia per noi professionisti che per le persone interessate al tema. Nell’articolo di oggi vorrei proporre un contributo significativo a questa giornata, attraverso un articolo che racconta l’importanza della psicoterapia in favore del miglioramento della salute mentale. 

La giornata mondiale della salute mentale. Perchè è importante la salute mentale!

In ogni percorso che svolgo all’interno del mio studio, mi rendo conto dell’importanza che riveste per la persona una riflessione su se stessa. Decidere di iniziare un percorso di psicoterapia non è mai semplice; in alcune situazioni il solo fatto di ammettere di avere una problematica è già di per sé in qualche modo terapeutico. Ovviamente non è sufficiente riconoscere di avere un problema, è necessario lavorarci in maniera strutturata. A volte la paura di intraprendere un percorso può nascere anche dallo stigma sociale di andare dallo psicologo. E se sembra ormai tramontata l’idea che “andare dallo psicologo” sia il riconoscimento di un problema mentale, tuttavia vi sono ancora persone restie perchè preoccupate di cosa si possa pensare di loro, una volta varcata la porta dello studio. Ritengo invece che sia importante iniziare a condividere l’idea che ognuno di noi, in un particolare momento della propria vita, possa sentire l’esigenza di un supporto psicologico. E che pertanto debba essere una decisione quasi ovvia quella di  affidarsi ad uno specialista. 

La giornata mondiale della salute mentale.Il benessere psicologico come pratica di crescita personale

In questa giornata dedicata alla salute mentale vorrei fornire qualche esempio di come la psicoterapia possa riuscire utile per la persona, nella misura in cui favorisce un miglioramento che aiuta anche a crescere a livello personale. Raccontare storie di psicoterapia ritengo sia molto prezioso perchè aiuta le persone che si riconoscono in questi casi, ad avere maggiore consapevolezza della loro condizione interiore. Questo fatto può stimolare un cambiamento in direzione diversa, orientandosi a migliorare la salute mentale, o, meglio, ad iniziare un percorso di psicoterapia.

Il superamento del dolore e della sofferenza

Una paziente entra in terapia per affrontare un momento molto delicato della propria vita. Nell’ultimo anno l’azienda di famiglia, fondata dal padre, ha subito un tracollo economico. Il problema è legato soprattutto ad un mercato che non dà più sicurezze. Purtroppo anche qualche scelta manageriale sbagliata ha comportato alcuni passi falsi e di conseguenza un rapido declino dell’azienda. Questa situazione ha arrecato un momento di grandissima sofferenza alla mia paziente, che in taluni momenti si è ritrovata addirittura a pensare al suicidio. Le circostanze sembravano impossibili da affrontare, emotivamente si sentiva a pezzi. Il percorso di psicoterapia avviato insieme le ha consentito di elaborare questo grandissimo dolore e di prendere atto della propria capacità interiore di resistere e di reagire alle avversità. 

Il cambiamento che diventa benessere psicologico

Il passo successivo a quello di gestione emotiva della situazione è stato quindi quello di affrontare il cambiamento. In questo caso la persona in oggetto avrebbe dovuto modificare il proprio approccio al lavoro, avviare un percorso nuovo che avrebbe letteralmente trasformato il suo modo di interpretare l’attività e di destreggiarsi nel mondo del lavoro. Un percorso nuovo, che sarebbe stato improponibile senza una seria motivazione personale e in assenza di una situazione di benessere mentale. Il supporto psicologico ha giocato un ruolo chiave nello stimolare al massimo questi due aspetti, aiutando la persona ad esprimere le proprie risorse al meglio. Gestire il cambiamento è sempre molto complesso, può portare a momenti di crisi e difficoltà, tuttavia è un trampolino di lancio nella direzione della nostra crescita personale.

QuiPsico lo studio che diffonde una cultura orientata al benessere psicologico 

Uno dei miei progetti più ambiziosi è stato quello di aprire insieme alla collega Lisa Sartori lo studio di psicologia e psicoterapia QuiPsico. All’interno di questa realtà la nostra mission, è quella di valorizzare proprio l’importanza della salute mentale. Lo studio vanta dei professionisti molto esperti, in grado di fornire il migliore servizio per i pazienti. Inoltre l’idea è anche quella di promuovere la salute mentale attraverso giornate di formazione rivolte alla diffusione di informazioni, con laboratori pratici dedicati al benessere individuale. QuiPsico – uno spazio dedicato alla salute mentale a 360 gradi – risponde all’esigenza di fornire spazi di terapia di valore, all’interno dei quali l’intervento è calzato sulle esigenze peculiari della singola persona. 

Contattaci al 3404190915 per avere maggiori informazioni e per conoscere tutti i servizi offerti da QuiPsico. 

 

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Tag: benessere psicologico, prevenzione, salute mentale, Terapia Breve Strategica

Perchè mi sento un peso per gli altri? Quando riuscirò mai a stare bene in un contesto sociale senza vivere ansia e preoccupazioni?” Sono due domande che recentemente un paziente mi ha posto all’inizio del percorso di terapia. Due domande che racchiudono un mondo interiore fatto di difficoltà con se stessi, difficoltà che poi si riversano anche nella relazione con gli altri. Questo è solo uno dei tanti casi che affronto in studio e che sottintendono una mancanza di autostima tale da riuscire ad incrinare anche la relazione con il prossimo. Sono comunque situazioni in cui il soggetto nel rapporto con altre persone  si sente sempre sotto giudizio. Nell’articolo di oggi vedremo alcune casistiche specifiche in cui si può riconoscere la sensazione di essere un peso per gli altri. 

Perché mi sento un peso per gli altri? Dare fastidio

Quando inconsciamente si pensa di dare fastidio alle altre persone possono emergere in noi due differenti tipologie di comportamenti. Si può cercare di soddisfare tutte le esigenze degli altri, fornendo attenzione e cercando di soddisfare i loro desiderata. In questo modo non ci si assume alcuna responsabilità e di conseguenza non si rischia di provare la sensazione sgradita di dare fastidio. Per contro, da un punto di vista personale, il rischio è quello di sviluppare una scarsa stima di se stessi. Una bassa autostima che viene alimentata proprio dal non assumersi delle responsabilità e che finisce per pesare a livello psicologico. In altri casi può invece accadere di evitare completamente il contatto con gli altri, mettendo in atto una vera e propria chiusura in se stessi. Questa  forma di auto-tutela in realtà porta ancora di più ad interrogarsi sul nostro ruolo e sul fatto di essere avvertiti come un peso per il prossimo.

Perché mi sento un peso per gli altri? Ho paura di non essere all’altezza

“Ero appena arrivata a cena a casa di amici e ho iniziato a sudare freddo. Avevo paura di essere di troppo, non sapevo cosa fare e mi è salita una forte ansia”.

In questa situazione raccontata attraverso l’esperienza di una paziente, si evince come la paura di non essere all’altezza abbia indotto una sintomatologia ansiosa invalidante. La paura di non riuscire a essere di compagnia, di non saper reggere la conversazione a tavola, di non riuscire a spiegarsi o di non trovare le parole giuste, inevitabilmente conduce ad una chiusura mentale. In questo caso specifico la persona avverte di essere un peso sia per suo marito che per la coppia di amici e il desiderio di fuggire, anche se inverosimile, si fa assillante. 

Quali sono le paure che ci bloccano?

Abbiamo citato la paura di non essere all’altezza, tuttavia anche la paura di essere giudicati rischia di diventare invalidante. Come spesso ho sottolineato anche in altri articoli, viviamo in una società nella quale il giudizio non viene considerato positivamente, sotto forma di un feedback utile al nostro miglioramento e alla crescita. Il giudizio viene vissuto come un peso che ci portiamo addosso, che ci segna come persone e dal quale ovviamente cerchiamo di rifuggire. Proprio perchè lo interpretiamo come un aspetto relazionale che ci fa paura. Accettare il giudizio degli altri potrebbe essere un primo passo per superare la paura e accettare il nostro modo di essere. 

La ricerca di approvazione

Non appena gli altri non ci considerano e ci voltano le spalle, proviamo sensazioni psicologiche di sofferenza e dolore. Quando non otteniamo l’approvazione che pensiamo di meritare, sentiamo crescere in noi un sentimento di sofferenza, che si traduce in ansia nel momento in cui ci relazioniamo con gli altri. La paura del rifiuto alimenta quella nostra ferita interiore di non piacere, di dare fastidio, di essere considerati un peso. 

Come cambiare e stare bene con gli altri?

I suggerimenti che vorrei dare nell’articolo sono tre. Il primo riguarda il nostro modo di comunicare: proviamo innanzitutto ad esprimerci con maggiore “sincerità emotiva”. Dire agli altri come ci sentiamo e come stiamo vivendo una determinata situazione, può essere utile sia a noi che anche a chi ci ascolta. Un secondo suggerimento è quello di provare in a “mettersi al centro” della situazione, iniziando a privilegiare la nostra personalità in tutte quelle situazioni che possono farci stare bene. Infine, iniziamo a dire “piccoli no” nel momento in cui non siamo d’accordo con gli altri. Dire NO in alcuni casi può essere veramente terapeutico. Vi suggerisco di provare fin da ora a mettere in pratica questi semplici suggerimenti.

Scrivetemi a studio@guidodacutipsicologo.it per saperne di più su come superare la preoccupazione di essere un peso per gli altri. Oppure chiamatemi al 3404190915 per iniziare un percorso di terapia e superare la paura di essere un peso per gli altri. Potete anche fissare il vostro appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando in questo link. 

 

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Tag: ansia sociale, autostima, giudizio

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Cosa vuol dire Eco-Ansia?

27 Novembre 2023

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Si parla relativamente poco di questa sostanza, ancora molto diffusa e consumata nei locali, nelle feste abusive, nei rave party. L’ecstasy è una sostanza psicoattiva, una metamfetamina, che provoca un’attività eccitante, una certa euforia che agevola le relazioni sociali, un immaginario aumento delle prestazioni psicofisiche e una riduzione dell’ansia. Una sostanza che non possiamo definire nuova, infatti la sua molecola era stata utilizzata già negli anni 1950 per condurre test psicologici e negli anni ‘70 come farmaco per ridurre potenziali inibizioni. In funzione delle sue caratteristiche viene consumata in un contesto sociale (con amici, in un locale, etc.) per percepire sensazioni in maniera più intensa e sentirsi a proprio agio con gli altri. L’articolo di oggi intende quindi affrontare un argomento di grande impatto.

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? La storia di L.

L’esperienza di L. (sigla di fantasia), è quella di un ragazzo di circa 24 anni che fino ad un certo punto della sua vita non ha mai fatto uso di droghe. Tuttavia da circa sei mesi il rapporto con un nuovo gruppo di amici lo ha portato a frequentare con regolarità serate in discoteca, feste private ed anche  rave party. In queste situazioni tutti i suoi amici fanno uso in dosaggi non eccessivi di “pastiglie”, cioè di ecstasy (nota anche con la sigla MDMA), così lui riferisce. Per il primo mese ha frequentato questo gruppo di amici senza unirsi al consumo, poi la voglia di provare lo ha tentato, non ha resistito e ha iniziato con bassi dosaggi. Quello che L. non riesce a gestire adesso è il policonsumo

Quali sono le conseguenze dell’uso di ecstasy? Il policonsumo

L’ecstasy lo porta ad esagerare e da “fatto” ha cominciato anche a fumare cannabis e a bere alcol in maniera smodata. L’ecstasy lo induce ad un consumo eccessivo di sostanze ogni fine settimana. La domenica è dedicata all’after party, una ulteriore festa successiva alla serata del sabato.  Un momento in cui continuare a bere, fumare e smaltire il grosso dell’abuso di sostanza della sera precedente. L. durante i colloqui riporta che i postumi del lungo weekend si fanno sentire al punto che solo il mercoledì comincia a stare veramente meglio. Questa sorta di routine del weekend finisce per influire anche sulla sua settimana successiva.

Insonnia e malumore

Il lunedì solitamente dovrebbe attendere agli impegni universitari, tuttavia all’ora di pranzo L. è ancora “in coma”, come lui stesso si definisce.

 “Durante la domenica sera mi giro e rigiro nel letto senza riuscire veramente a prendere sonno. Una specie di insonnia, come se non riuscissi a prendere sonno, anche se mi sembra di dormire.”

In realtà questi sono gli effetti dell’assunzione di ecstasy, che agendo sulle cellule nervose, influisce negativamente sul meccanismo di regolazione del sonno e sulle variazioni di umore. 

Annebbiamento umorale

Infatti a livello emotivo, fino a mercoledì, pur non avendo particolari motivi di squilibrio, percepisce di non essere completamente lucido, avverte di essere polemico ed entra facilmente in conflitto con gli altri. Una sorta di annebbiamento umorale che lo spinge a comportarsi come se avesse “il pilota automatico” nei confronti delle altre persone. Solo a partire da giovedì si sente meglio, ma la tentazione del weekend è troppo forte. Il desiderio di rivivere le emozioni intense provocate dall’ecstasy è troppo forte e non riesce a farne a meno. 

Ecstasy: esiste un percorso di cura?

Lavorare sulla dipendenza da ecstasy non è semplice, soprattutto per il fatto che siamo in presenza di una dipendenza mentale, e visti gli effetti di piacere dovuti alla sostanza e la natura non eccessiva del consumo, limitata al fine settimana, il rischio di diventare dipendenti viene molto spesso sottovalutato. Questo meccanismo psicologico crea in realtà un rapporto con la sostanza ancora più forte, difficile da scardinare, e di conseguenza complesso anche per quello che riguarda la motivazione ad iniziare un percorso di cura. 

Secondo la mia esperienza clinica nel mondo delle sostanze d’abuso, ritengo che uscire da un consumo di ecstasy sia possibile. Tuttavia è necessario mettersi in discussione ed iniziare ad intraprendere un percorso strutturato, che possa aiutare a prendere consapevolezza della dipendenza e della necessità di cura.

Per saperne di più contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda cliccando qui. 

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Come “volare” in arrampicata? C’è veramente una risposta a questa domanda? Dal mio punto di vista, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico, la cosa fondamentale è essere mentalmente preparati. Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento si rischia di ridurre la passione nei confronti dello sport, a volte al punto addirittura di mettere tutto in discussione. Nell’articolo di oggi vedremo come arrampicare concentrandoci sul ruolo della nostra mente e delle emozioni. 

Come ”volare” in arrampicata? Le gambe che tremano

Era la prima volta che mi succedeva. Stavo arrampicando su uno spigolo a circa dieci metri da terra. Dovevo spostarmi verso sinistra, era la prima volta che mi stavo approcciando su quella via. Non sembrava un passaggio difficile, a posteriori direi semplice, anche per il mio livello. Tuttavia ho iniziato ad annaspare. Fiato corto, probabilmente poco ossigeno al cervello. Ho guardato giù e le gambe hanno cominciato a tremare. Ho parlato con il mio compagno che stava facendo sicurezza, gridando che non me la sentivo di andare avanti. Lui ha insistito, ha detto che alla peggio sarei caduto. L’avrei strozzato, magicamente però mi sono sentito meglio e sono andato avanti nella scalata.

Come volare in arrampicata? “Solcare il mare all’insaputa del cielo”

“Solcare il mare all’insaputa del cielo” è un aforisma che in Terapia Breve Strategica spiega benissimo il concetto di affrontare la paura senza quasi preoccuparsene. Nella situazione sopra descritta il momento chiave è stato quello di parlare con il compagno. Un momento in cui, staccando l’ascolto dal proprio corpo, la mente torna orientata all’obiettivo. In questo caso specifico: superare lo spigolo spingendosi oltre verso la fine della via. Qualcuno potrebbe semplicemente pensare ad una “distrazione” che ci aiuta a non avvertire la paura, ma in verità si tratta di molto di più. Le sensazioni corporee non possono essere semplicemente ingannate, bisogna invece fare un lavoro decisamente differente, ossia spostare il focus dall’ascolto delle sensazioni al compito che vogliamo portare a termine. 

La gestione delle emozioni 

Grazie al percorso di psicoterap