
Cosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
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Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
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S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
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Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
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Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
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Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
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Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
oppure contattami al 3404190915 o via mail a studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
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S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
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Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
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Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
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Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
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Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
oppure contattami al 3404190915 o via mail a studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
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S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
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Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
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Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
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Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
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Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
Una breve guida sulle diverse patologie fobiche e sulle strategie per superare ansia e panico.
oppure contattami al 3404190915 o via mail a studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
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S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova prende l’avvio con un monologo interpretato da una giovane attrice di soli dieci anni, seguito dalla messa in atto di una coreografia ad opera di un corpo di ballo formato da giovani ballerini, coreografati da Sara Bensi, performance scritta da Alice Nereide Cossa. L’Unipd Big Band, orchestra jazz dell’Università di Padova diretta dal maestro Franco Nesti, accompagna con numerosi stacchetti musicali l’intera manifestazione.
Ad aprire però ufficialmente l’evento è Carlo Pasqualetto, colui che nel 2013 portò il Tedx a Padova per la prima volta. Un video iniziale ripercorre i dieci anni del Ted (Technology Entertainment Design) nei quali, spiega Pasqualetto, si è dato vita a importanti progetti artistici e culturali per la città, in un contesto di inclusione sociale e salvaguardia dell’ambiente.Dieci anni di crescita nel corso dei quali si sono avvicendati sul palco oltre 150 speaker, dieci anni di consapevolezza e attenzione verso il mondo esterno, dieci anni in cui innovazione e tecnologia sono stati affrontati con entusiasmo e intraprendenza.
Ad introdurre i dieci protagonisti della giornata è la giovane attrice e conduttrice Brenda Lodigiani.
Il primo speaker è un docente del Trinity College di Dublino, Giulio Buciuni, studioso riconosciuto a livello internazionale, che si occupa di distribuzione geografica dell’innovazione e degli impatti economici e sociali che essa produce. Il suo intervento illustra la problematica riscontrata dalle realtà abitative periferiche che devono competere con le grandi metropoli. Queste città, chiamate “underdog”, dovranno attivarsi se vorranno essere competitive ed essere in grado di rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo delle periferie.
Lorenzo Marini, pubblicitario, scrittore e artista, nonché eccellenza italiana nel mondo, tramite un carismatico discorso pone l’accento sul mondo delle idee: sulla creatività, sulla determinazione e sull’immaginazione che ne regolano lo sviluppo.
Angela Trocino, professoressa e ricercatrice di Biomedicina Comparativa e Food Science presso l’Università di Padova, partendo dall’immagine di un uovo e dall’importanza dell’allevamento 4.0 tecnologicamente avanzato, descrive l’evoluzione di quella che sarà la nostra alimentazione tra 10 anni.
Margherita Tercon, Content Creator e Sibling (parente di persona con disabilità), combatte ogni giorno gli stereotipi legati all’autismo. Sul palco del Ted dà voce a tutte quelle persone che inserite in una società come la nostra faticano ad emergere a causa della loro condizione, rimanendo spesso trasparenti ed emarginati.
Il quinto speaker è Flavio Fusi Pecci, cosmologo e astronomo ordinario dell’istituto Nazionale di Astrofisica, che racconta l’evoluzione e l’espansione del cosmo, in un coinvolgente viaggio alla scoperta delle origini dell’universo.
Nella seconda parte del pomeriggio ulteriori speaker hanno proposto le loro storie sui temi dell’inclusione, della ricerca e dell’autodeterminazione.
Duccio Forzano, regista e autore televisivo racconta la propria storia di riscatto sociale che si snoda tra talento, occasioni da saper cogliere e voglia di rivalsa.
Lena Pernas, Research Group Leader presso il Max Planck Institute di Colonia, è stata una delle prime volontarie della conferenza TEDxPadova, dieci anni fa. La ricercatrice dirige un laboratorio di ricerca sull’immunologia e racconta la sua storia alla scoperta dei progressi fatti sui mitocondri e sulla loro importanza per la nostra vita.
Maria Fossati, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, tester in prima persona all’interno del team Soft Hand Pro, racconta attraverso la sua esperienza personale cosa voglia dire realizzare e cosa si provi ad indossare un arto meccanico. La sua semplicità nel narrare la propria vicenda e nel mostrare le incredibili capacità di un arto artificiale, suscitano una corrente di vera emozione in sala.
Sara Stefanizzi (Kurolily), Streamer e Gamer su Twitch con oltre 200mila follower, sale sul palco raccontando il suo modo di comunicare con le nuove generazioni. Un’interazione costante che parte dalle piattaforme social e continua anche a telecamere spente.
L’ultimo speaker di questa decima edizione è Giancarlo Commare. Il giovane attore tratta un tema molto attuale per la sua generazione, ovvero i pericoli della continua ricerca della perfezione e dell’eccellenza.
La grande novità di quest’anno è anche che insieme alla collega Lisa Sartori, siamo stati presenti alla decima edizione per il progetto “Digitalmente”, di cui siamo partner con QuiPsico, insieme al Comune di Padova e all’agenzia di comunicazione: StoreIS. Per saperne di più rispetto a questo progetto vi invito a leggere il seguente articolo nel blog di QuiPsico:
Categorie: Crescita Personale
Tag: Public Speaking, tedx padova
Come rimediare alle abbuffate di Pasqua? Certamente possiamo affermare che Pasqua non è Natale e che dal punto di vista alimentare ci preoccupa un po’ meno. Tuttavia il rischio di uscire dalle vacanze pasquali appesantiti, con qualche chilo in più, è sempre presente. E si porta anche dietro tutta una serie di preoccupazioni legate al rapporto con il cibo e quindi con il nostro corpo. Per di più in un momento in cui si fa sentire insistente il richiamo della primavera. L’articolo di oggi cerca di approfondire i momenti successivi ad una trasgressione alimentare: quella del pranzo pasquale e di pasquetta.
La nostra mente rischia spesso di trasformare eventi piacevoli in momenti infernali. Se a Pasqua abbiamo esagerato in termini alimentari, in realtà non è successo nulla di grave. Abbiamo bisogno di momenti di trasgressione all’interno della routine quotidiana. Anche molte diete prevedono la giornata di “trasgressione”, nel corso della quale possiamo in parte esagerare e mangiare cibi che ci piacciono particolarmente. Usiamo questo prezioso pensiero per ridimensionare il nostro modo di vivere i giorni successivi alle feste. E’ un pensiero rassicurante, che ci riporta all’importanza dei concetti di piacere e di equilibrio.
Dopo il periodo delle feste un errore comune è quello di iniziare a saltare i pasti. Se siamo abituati ad assumere 3 pasti al giorno, iniziare a saltarli, per ottenere nuovamente il controllo a livello alimentare, può essere particolarmente disfunzionale. La ricerca di controllo attraverso la riduzione del numero dei pasti può risultare uno svantaggio. Il rischio è proprio quello di cadere in un’abbuffata. Nel tentativo di non mangiare arrivo a perdere il controllo e mangio senza freni. Il consiglio fondamentale è quello di riprendere serenamente e completamente il proprio equilibrio alimentare!
Questo consiglio contiene molti aspetti differenti ed importanti. In primo luogo ci suggerisce di non classificare il cibo con l’etichetta di “cibi buoni” o “cibi cattivi”. Ma iniziare a pensarlo come qualcosa che ci da piacere. Concentrarci sul piacere può significare anche pensare alla nostra salute, al benessere, al fatto che possiamo mangiare cibi “sani” e “naturali”. Alternandoli di quando in quando anche a qualcosa di sfizioso e gustoso per il nostro palato. Il piacere del cibo è un aspetto chiave che ci consente di trovare nell’alimentazione non un nemico ma un aspetto di benessere psicologico e mentale.
Fare sport è sempre un’attività fondamentale per il nostro corpo e anche per la mente. Molti pazienti pensano che fare sport sia difficile, soprattutto se non lo hanno mai fatto in maniera continuativa. Tuttavia è possibile iniziare a fare attività sportiva anche in maniera molto semplice. Attivarsi con ginnastica dolce, camminare ogni giorno per una mezz’ora oppure ancora andare al lavoro in bici invece che in macchina. Ecco alcune soluzioni semplici e pronte all’uso che potrebbero aiutarvi ad iniziare sin da subito.
Come ultimo consiglio, che forse riassume i precedenti, è quello di non impegnarsi dopo le vacanze pasquali in una dieta, soprattutto se restrittiva. Assumere un regime alimentare equilibrato, basato sul piacere è un’altra cosa. La dieta restrittiva rischia invece di attivare meccanismi negativi. Una eccessiva forma di autocontrollo, che poi rischiamo mentalmente di non riuscire a gestire, potrebbe paradossalmente farci sfuggire di mano la situazione e stimolare una abbuffata. Quindi il mio consiglio è: SI all’equilibrio alimentare NO alla dieta restrittiva!
Se vuoi saperne di più sui disturbi alimentari e sulle abbuffate leggi il mio blog nella sezione disturbi alimentari oppure in alternativa puoi acquistare il mio ebook:
Contattami al 3404190915 oppure fissa un appuntamento direttamente dalla mia agenda online cliccando qui.
Categorie: Disturbi Alimentari
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La paura di non potersi muovere è una monofobia che può svilupparsi in maniere differenti che presentano comunque alcune caratteristiche comuni.
La monofobia è una paura specifica, orientata ad una particolare situazione che intimorisce e preoccupa. Normalmente quando parliamo di paura di non potersi muovere facciamo riferimento alla claustrofobia. Gli spazi angusti ci spaventano e ci bloccano psicologicamente. Il fatto che mette maggiormente in allarme è la sensazione di non avere vie d’uscita. L’idea di non poter scappare in una condizione che giudichiamo di rischio ci manda in crisi, quindi facciamo di tutto per evitare una situazione del genere. Circostanze di questo tipo possono limitare la qualità della nostra vita perchè pongono in atto delle “tentate soluzioni” distorsive e disfunzionali. Nell’articolo di oggi vedremo nel dettaglio alcune paure specifiche in cui muoversi può risultare difficile o problematico.
“Avrei molta voglia di viaggiare, e potrei prendere il treno per andare a trovare uno dei miei migliori amici. Però il viaggio è troppo lungo e non me la sento”.
In questa testimonianza di una mia paziente si può chiaramente intuire come la paura fobica sia di impedimento nel permetterle di fare qualcosa che le darebbe soddisfazione. La preoccupazione deriva proprio dal viaggiare in treno, soprattutto se molto affollato. L’idea di essere limitata nei movimenti, di sedersi in una posizione chiusa da un’altro passeggero, la mette a disagio. Malgrado il fatto che in passato abbia viaggiato in treno senza grandi problemi, adesso l’idea che possa accadere qualcosa (es. una emergenza, un incidente, un incendio) e di non avere vie d’uscita, le fa provare una sensazione di angoscia. A questo punto evitare viaggi in treno sembra la soluzione ideale per non soffrire, ma si tratta pur sempre di un espediente temporaneo che non risolve il problema.
L’esame diagnostico di risonanza magnetica mette a dura prova molte persone. La sensazione spiacevole di claustrofobia, il rumore a volte anche intenso, la difficoltà di rispettare il compito di rimanere fermi, rendono questa esperienza particolarmente problematica, per qualcuno addirittura critica.
“Sono mesi che sto evitando di fare la risonanza magnetica. Ne avrei bisogno per approfondire una situazione che mi preoccupa. Eppure non me la sento.”
A questo paziente la claustrofobica sensazione della risonanza magnetica rende particolarmente difficile la decisione di sottoporvisi. Un paura irrazionale di non avere il controllo stimola sensazioni di angoscia e di ansia. Anche in questo caso la soluzione più facile, quella più immediata pare quella di evitare il problema. Ma è davvero una decisione sostenibile nel tempo?
“Sono cosciente di essere sveglio, in realtà però sto ancora dormendo. Cerco di muovermi ma non riesco a parlare ne’ a svolgere i movimenti che vorrei”.
Una paralisi durante la fase del sonno è molto spiacevole. Ci si sente quasi soffocare e si ha la sensazione di perdere il controllo. I sintomi possono essere associati proprio alle sensazioni tipiche dell’ansia. Nello specifico, è proprio l’impossibilità di muoversi o di riuscire ad uscire da questo stato sonno-veglia, a generare il panico. Dal punto di vista psicologico possono rendere l’esperienza davvero spiacevole. Il soggetto inizia a vivere male il momento di coricarsi, rimane in uno stato di tensione, quasi di avversione, rispetto ad un bisogno naturale e fondamentale per ognuno di noi.
Come anticipato, la paura di non potersi muovere si può presentare in modalità molto differenti, con la caratteristica comune trasversale di provocare intense sensazioni di timore e di ansia che non lasciano scampo. Alcune reazioni definite di “evitamento” del fenomeno sembrano fornire una risposta immediata, ma nel tempo risultano disfunzionali e non risolvono il problema alla radice. In generale siamo abituati a muoverci nello spazio senza costrizioni e il fatto di non poterlo fare a piacimento ci risulta quindi “innaturale”, fastidioso e impedente. E’ possibile reagire a questa fobia che genera ansia e frustrazione?
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più rispetto a paure e ansia leggi il mio ebook:
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Categorie: Ansia e panico
Tag: cleitrofobia, clustrofobia, monofobia, paura non muoversi
Torna al blogCosa si nasconde dietro la ludopatia? In genere siamo abituati a pensare che dietro il gioco vi siano solo slot machines, gratta e vinci, le scommesse e la ricerca della vincita miracolosa. Invece c’è molto di più. Ci sono vissuti personali, sofferenze, rabbia, ansia, depressione. L’impossibilità di vedere qualcosa di diverso dal gioco stesso. Tutta la componente emotiva che la persona vive ha un ruolo predominante. Nella mia esperienza professionale ho affrontato situazioni di dipendenza da gioco che sembravano croniche. Persone che da anni giocavano e sembravano senza speranza. Ed invece la possibilità di uscirne esiste, anche se bisogna lottare dal punto di vista psicologico, e non solo. Nell’articolo di oggi vedremo meglio la ludopatia, scoprendo le dinamiche emotive connesse a questo problema.
S. (nome di fantasia) ha una tabaccheria e gioca al gratta e vinci da dieci anni. Già alcuni anni fa la famiglia, nello specifico il fratello, è intervenuto per colmare un grosso debito. S. non riesce tuttavia a smettere, in rarissimi casi è riuscito a stare senza “grattare” per alcuni mesi. Poi è sempre ricaduto. Ha smesso di avere speranza. Infine, preso dal panico, da alcuni debiti contratti e da una pesante sensazione di mortificazione, decide di uscire allo scoperto, iniziando il percorso di terapia. Durante le sedute emerge un profondo vissuto di sofferenza. Una relazione matrimoniale che non sta andando bene, con tanti silenzi e poco affetto. L’unica via d’uscita sembra il gioco, sembrano i “Gratta e Vinci”.
“Vorrei smettere ma poi sono li che penso ai debiti e cerco di giocare per vincere qualcosa e mettermi in pari”.
S. sottolinea di non riuscire a smettere perchè il meccanismo è qualcosa che conosce molto bene. Spiega come il fatto di giocare sia normale nella sua vita, un automatismo ben collaudato che lo fa stare bene. Avverte quel desiderio irresistibile di tentare la fortuna, di giocare, è sicuro che questa volta vincerà. Poi quando invece perde, sta male, e gioca nuovamente per sopperire alla perdita. Un meccanismo tipico della ludopatia, un circolo vizioso che è quasi paradossale. Razionalmente tutti sanno che vincere è statisticamente molto improbabile, tuttavia continuano a giocare. Nel corso del tempo S. ha capito che per lui l’importante è il gioco fine a se stesso: “giocare per giocare”, senza davvero voler vincere, ma solo per vivere quella sensazione stimolante di trasgressione.
In molti articoli dedicati alla dipendenza patologica indico sempre un aspetto chiave per superare il circolo vizioso della dipendenza: la motivazione. Anche nel caso della ludopatia l’aspetto motivazionale è uno degli ingredienti chiave. Non essendo in presenza di una dipendenza fisica ma solamente mentale, conta ancora di più il cercare qualcosa dentro noi stessi che ci possa spingere nella direzione del cambiamento. Ovviamente è fondamentale anche un profondo lavoro interiore per capire la funzione del gioco. Come la ludopatia agisce a livello emotivo, tamponando le ferite e le sofferenze, creando addirittura un contesto irrazionale e temporaneo di benessere psicologico. Infine un ulteriore aspetto chiave è il coinvolgimento della famiglia all’interno del percorso di recupero. Spesso i familiari non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. Aiutare il sistema famiglia a capire come comportarsi, quali “paletti” mettere e cosa dire nelle situazioni di difficoltà è un aspetto terapeutico importantissimo.
Nella mia esperienza professionale ho sperimentato che con la giusta motivazione, il lavoro su se stessi e il coinvolgimento della famiglia, è veramente possibile uscire dalla dipendenza da gioco.
Se vuoi saperne di più rispetto alle tematiche delle ludopatia e delle problematiche connesse al gioco d’azzardo, contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it.
Categorie: Dipendenze
Tag: ansia, depressione, dipendenza, dipendenza dal gioco, ludopatia
Quali sono le crisi adolescenziali? E soprattutto quali sono i principali disagi degli adolescenti nel periodo post-pandemia? Non possiamo parlare di adolescenza senza considerare che gli ultimi tre anni i giovani li hanno vissuti con un disagio molto profondo. E’ vero anche che il periodo adolescenziale normalmente è un momento vissuto con emozioni intense, spesso difficili da gestire. Ansia, rabbia, dolore e piacere: le quattro emozioni di base che i ragazzi vivono così intensamente da cadere in momenti di crisi spesso molto distruttivi. Nell’articolo di oggi affronteremo queste quattro emozioni guardandole con gli occhi dei ragazzi.
“Sto per iniziare la verifica e mi sale una tensione allo stomaco. Non riesco a farla, ma non è tanto il voto, quanto proprio la paura di non riuscire a portarla a termine”.
A volte l’ansia può diventare distruttiva, spesso in adolescenza. E’ il momento in cui si creano dei circoli viziosi da cui i ragazzi sentono di dover scappare. Evitare di andare a scuola può diventare tranquillizzante, perchè almeno così si evita una situazione di cui si ha paura. Per contro rimanere a casa aumenta l’ansia, perchè si accumulano lezioni non seguite ed il rischio è di voler rinunciare ad andare a scuola, talvolta in maniera definitiva. L’ansia non affrontata può presentare risvolti critici per i ragazzi, al punto da determinare la perdita dell’anno scolastico e forti disagi dal punto di vista del benessere emotivo e psicologico.
“Sento dentro come un vulcano, certe volte basta poco, anche qualcosa che mi viene detto di diverso da quanto mi sarei voluto sentir dire. E mi blocco”.
La rabbia descritta sopra diventa bloccante. Il ragazzo che ha portato questo contenuto in terapia si descrive come una persona socievole, a cui piace stare con gli altri suoi coetanei. Tuttavia in alcuni momenti entra in uno stato di difficoltà, una sorta di vortice in cui la rabbia, se non sfogata, diventa come un terremoto interno. Allora si isola in camera sua e tenta di dormire, oppure di ascoltare musica per calmarsi. In alcune situazioni servono molte ore per riprendersi. La solitudine sembra diventare l’unica chiave per gestire quei momenti. La rabbia non è sempre un’emozione negativa, può trasformarsi in un’energia molto importante, ma deve essere gestita per riuscire ad essere funzionale.
“Mi sono sentita come se stessi volando per la felicità”.
Anche il piacere, la felicità, è un’emozione che in adolescenza può assumere risvolti di grandissima intensità. Le amicizie, o le frequentazioni più intime, possono dare dei veri e propri picchi di felicità. Emozioni che è fondamentale vivere, ma anche saper gestire. Perchè i picchi emotivi rischiano poi di anticipare momenti “down” di disillusione. Anche la felicità quindi, in adolescenza, deve essere guardata in maniera attenta, gestita e se del caso anche ridimensionata. Ciò non toglie che i ragazzi possano e debbano vivere emozioni di piacere. Anzi è fondamentale che accada, tuttavia ricordiamoci che anche le possibili frustrazioni conseguenti sono utili per facilitare il loro periodo di crescita.
“Mi sono sentita stringere lo stomaco dal dolore quando è mancato il mio animale domestico”.
Le sofferenze adolescenziali possono diventare critiche, talvolta anche ingestibili. La sofferenza viene percepita come una emozione molto intensa. Nell’esempio del lutto dell’animale domestico, se già normalmente può portare a grande sofferenza, in adolescenza le sensazioni irrazionali sono ancora più forti. Ed è simile per un brutto voto a scuola, una delusione sentimentale oppure anche per un litigio con l’amico del cuore. Il dolore, come le altre emozioni, deve comunque essere vissuto dai ragazzi, perchè rappresenta una esperienza che, come spiegavo prima, serve a maturare. Le frustrazioni sono fondamentali per crescere, aiutano a migliorarci in un’ottica evolutiva. Tuttavia la sofferenza deve essere gestita, attraverso l’aiuto della famiglia oppure del gruppo dei pari. In questo modo può diventare veramente funzionale.
Nell’ambito dei miei percorsi di Terapia Breve Strategica gli adolescenti trovano uno spazio sicuro. Un posto ed un momento dove potersi confrontare, stare bene con se stessi ed essere indirizzati a capire come superare i momenti emotivamente stressanti. Anche la famiglia trova consiglio e un valido supporto per capire come comportarsi e gestire i momenti di difficoltà. La psicoterapia può essere uno strumento essenziale nella gestione emotiva.
Categorie: Adolescenza
Tag: adolescenti, crisi adolescenziale, genitori, rabbia
La paura di rimanere senza amici è una forma di ansia che al suo interno può essere letta in modi differenti. Il primo in assoluto la sintomatologia. Sensazioni di ansia e preoccupazione nascono anche solamente all’idea di non avere persone vicine. Un altro sintomo piuttosto frequente è lo sconforto personale all’idea di poter rimanere da soli. Di conseguenza la nostra autostima subisce un abbassamento dovuto all’impressione di non riuscire ad essere all’altezza delle altre persone. Ma quindi come si fa veramente a non rimanere soli? E soprattutto a gestire la paura di rimanere da soli? Scopriamolo nel seguente articolo.
La sensazione di non essere all’altezza nelle situazioni sociali e relazionali, crea spesso un blocco nelle persone. Pur avendo molti amici, a volte per paura di perderli o per il fatto di non sentirsi sempre a proprio agio nei loro confronti, le persone preferiscono evitarli. E’ paradossale, perchè a livello inconscio sappiamo bene di non avere problemi a livello relazionale. Tuttavia ci sentiamo in qualche modo bloccati, la nostra mente ci convince che non riusciremo a sentirci rilassati in mezzo agli altri. La sensazione di paura di essere giudicati aumenta, e di conseguenza preferiamo attivare il meccanismo dell’evitamento e restare da soli. Quando invece decidiamo inconsciamente di affrontare la situazione, rischiamo di vivere tutto il tempo come un incubo.
Sono proprio i pensieri negativi che spesso ci convincono del fatto che le altre persone non ci vogliono. Un paziente racconta di essere andato ad una festa di compleanno. La prima impressione era stata piacevole, ma con il passare dei minuti la situazione è peggiorata. Si guardava in giro, si sentiva sotto esame, come se le persone presenti ce l’avessero con lui. La prima cosa che ha pensato è stata di essere sotto giudizio. E’ rimasto poco e poi è andato via. Il problema in questo caso non è tanto il fatto di non avere amici. Quanto piuttosto di non riuscire a sentirsi bene in mezzo agli altri, con la conseguente paura di non riuscire più a mantenere relazioni sociali positive e piacevoli. Il risultato finale è quello di isolarsi, di rimanere soli.
Questa strana forma di paura è strettamente connessa con la propria autostima. Iniziare a vivere i momenti sociali con frustrazione porta a sentirsi male con se stessi. La percezione di efficacia personale si riduce. Un vero e proprio circolo vizioso, dove ogni sconfitta può determinare anche una riduzione della propria autostima. Il lavoro psicologico è ovviamente l’aspetto fondamentale per ridurre le paure e per ritrovare la stima di se stessi. L’autostima non è qualcosa che si può misurare a priori, è qualcosa che però si percepisce istintivamente. Se noi cambiamo le lenti di lettura della realtà, di conseguenza riusciremo a vedere con altra prospettiva le nostre capacità e le nostre risorse. Questo è sicuramente un punto di partenza per iniziare ad interpretare diversamente se stessi.
Un consiglio che ritengo molto utile è di iniziare a costruire relazioni sulla base della fiducia reciproca e del valore. Le amicizie di comodo o passeggere non possono durare nel tempo, quelle invece basate sui valori e su dinamiche relazionali forti possono risultare veramente di successo. Chiaramente spesso la paura può diventare totalizzante, ed è per questo motivo che è fondamentale affrontarla e vincerla, anche attraverso un percorso terapeutico di psicoterapia.
Se vuoi saperne di più continua a seguire il mio blog, troverai sempre news aggiornate! Oppure contattami al 3404190915 oppure su studio@guidodacutipsicologo puoi fissare la tua seduta personalizzata per superare la paura e ritrovare l’autostima.
Categorie: Ansia e panico
Tag: amicizia, ansia, autostima, paura, paura del giudizio, paura di non avere amici, relazioni, solitudine
Come aumentare l’autostima attraverso lo storytelling? Ve lo siete mai chiesto? E soprattutto che cos’è lo storytelling e perchè è importante parlarne? Sono le domande a cui cercheremo di rispondere attraverso l’articolo di oggi. Ritengo lo storytelling uno strumento interessante e fondamentale. Ogni università e scuola di formazione in genere dovrebbe inserire un corso di storytelling all’interno dei propri percorsi formativi. Recentemente ho svolto un corso presso un’azienda; l’obiettivo era quello di fornire strumenti per raccontare e raccontarsi, nell’ottica di dare più importanza a se stessi. Una sorta di valorizzazione delle proprie capacità relazionali, perchè riuscire ad essere efficaci dal punto di vista comunicativo può migliorare significativamente anche la nostra autostima.
Proviamo per prima cosa a definire lo storytelling. Innanzitutto chiariamo subito che non si tratta della capacità di saper scrivere. Lo storytelling è scrivere in maniera narrativa. La nostra capacità di raccontare una storia. Una storia può essere definita come un ipo-contenuto, ovvero un contenuto “povero”, una sorta di semplice cronologia di eventi. Ad esempio:
“Oggi pomeriggio ero stufo di lavorare, ho chiuso il pc e me ne sono andato a casa”.
Quando parliamo di racconto, invece, intendiamo qualcosa di completamente differente. Il racconto è una narrazione, dal mio punto di vista è come inserire il colore all’interno di un quadro che vediamo solo in bianco e nero. Sentite la differenza:
“Erano già alcune ore che i miei pensieri stavano vagando fuori dalla stanza. Ero stufo di rispondere a mail su mail, non ne potevo più e stavo pensando solamente al bosco e alla natura. Ho chiuso di colpo il pc, mi sono infilato le scarpe da corsa e sono andato a correre nel parco”.
Avete sicuramente intuito la differenza fra una storia ed un racconto. La narrazione trasforma una cronologia di eventi in qualcosa di emotivamente forte, un’immagine in cui ci possiamo rispecchiare, che ci fa sognare e formulare in maniera diversa il messaggio che vogliamo comunicare. Molti di voi si staranno chiedendo però come fare. Spesso ci mancano le modalità giuste per raccontare in maniera efficace. Una struttura semplice ma utile per raccontare le nostre storie è la seguente:
Una struttura semplice, mediante la quale possiamo costruire la nostra storia personale.
Un ulteriore elemento che dobbiamo tenere presente, molto utile nella costruzione delle nostre storie, è il tema del conflitto. Immaginare una storia senza un conflitto: con sé stessi, con qualcuno in particolare, con la tecnologia, con il mondo fuori dalla porta o con la natura, è praticamente impossibile. Ognuno di noi passa attraverso costanti conflitti, momenti di frizione, a volte di scontro, che possono anche trasformarsi in qualcosa di costruttivo e funzionale. Per tale motivo raccontare una storia attraverso un conflitto genera passione e suscita emozioni forti, coinvolgendo noi stessi e i nostri interlocutori.
Prendete carta e penna ed iniziate a scrivere la presentazione di voi stessi. Come? Utilizzate la struttura che vi ho appena presentato: punto di vista, problema, soluzione, risultato. Pensate a qualche situazione di conflitto nella vostra vita. Sceglietene una e domandatevi come vi ha permesso di diventare la persona che siete oggi. Chi vi ha aiutato? Quali risultati avete raggiunto?
Imparare a raccontarsi diversamente può aiutare a vedersi diversamente, mettendo in evidenza le nostre capacità, i nostri valori. L’autostima è la percezione positiva che abbiamo di noi stessi, imparare a raccontarsi diversamente è fondamentale per cambiare in meglio il modo di vedere noi stessi. Se vuoi aumentare la tua autostima, imparare a raccontarti e vederti diversamente contattami al 3404190915 oppure scrivimi su studio@guidodacutipsicologo.it
Categorie: Crescita Personale
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Il decennale del TEDxPadova<